« Nella nostra caccia alla teoria finale, i fisici sono più simili a segugi che a falchi; siamo diventati bravi a fiutare a terra le tracce della bellezza che ci aspettiamo nelle leggi della natura, ma non sembra che siamo in grado di vedere il percorso verso la verità dall’alto della filosofia».
« I fisici naturalmente portano con sé una filosofia pratica nel loro lavoro. Per la maggior parte di noi, è un realismo rudimentale, una convinzione nella realtà oggettiva degli ingredienti delle nostre teorie scientifiche. Ma questo è stato appreso attraverso l’esperienza della ricerca scientifica e raramente dagli insegnamenti dei filosofi.
Questo non significa negare ogni valore alla filosofia, gran parte della quale non ha nulla a che fare con la scienza. Non intendo nemmeno negare ogni valore alla filosofia della scienza, che nel migliore dei casi mi sembra una piacevole glossa sulla storia e le scoperte della scienza. Ma non dovremmo aspettarci che fornisca agli scienziati di oggi una guida utile su come svolgere il loro lavoro o su cosa è probabile che troveranno. …
Di tanto in tanto, ho cercato di leggere lavori attuali sulla filosofia della scienza. Alcuni di essi li ho trovati scritti in un gergo così impenetrabile che posso solo pensare che mirassero a impressionare coloro che confondono l’oscurità con la profondità. Alcune di queste erano buone letture e persino argute, come gli scritti di Wittgenstein e Paul Feyerabend. Ma solo raramente mi è sembrato che avessero qualcosa a che fare con il lavoro della scienza come lo conoscevo. … Non conosco nessuno che abbia partecipato attivamente al progresso della Fisica nel periodo postbellico la cui ricerca sia stata significativamente aiutata dal lavoro dei filosofi.»
Steven Weinberg, “Contro la Filosofia”, cap. 7 di “Il Sogno dell’Unità dell’Universo” (1982)
E’ di Weinberg anche una frase a volte ingiustamente attribuita a Feynman:
«Il mio intervento di questo pomeriggio riguarderà la filosofia della scienza piuttosto che la scienza stessa. Questa cosa è, in qualche modo, per me insolita e, suppongo, lo sia in generale per uno scienziato nel pieno delle sue attività. Ho letto l’osservazione (anche se ho dimenticato la fonte) che la filosofia della scienza è tanto utile agli scienziati quanto l’ornitologia agli uccelli.»
Steven Weinberg, “Newtonianism, reductionism and the art of congressional testimony”, Nature vol. 330, pg. 433–437,(1987)
La maggioranza degli scienziati condivide le posizioni di Weinberg sulla fine della filosofia.
Per l’astrofisico teorico Stephen Hawking, nel saggio con Leonard Mlodinow
“Il grande disegno: Che cosa sappiamo oggi dell’universo” (2010),
“La filosofia è morta”, spodestata delle sue tradizionali domande intorno all’origine
del mondo, da dove veniamo e perché siamo qui, ha reso gli scienziati “gli unici
detentori della torcia della scoperta nella nostra ricerca della conoscenza”.
Il fisico teorico e cosmologo Lawrence Krauss, in “L’Universo dal Nulla " (2012), sostiene
che la fisica avrebbe reso obsolete filosofia e religione e che branche rilevanti della
filosofia (come la logica o l’etica) sarebbero oggi destinate a essere inglobate da altre discipline.
Il biologo evoluzionista e divulgatore Richard Dawkins, nel “Gene egoista” (1976)
si chiede perché la filosofia
e le materie cosiddette «umanistiche» venissero ancora insegnate quasi come se Darwin non fosse mai esistito.
In Italia, il genetista Edoardo Boncinelli (ma anche fisico, epistemologo e grecista, scopritore
dei geni omeotici, ex allievo di Giuliano Toraldo di Francia), nel saggio “La farfalla e la crisalide.
La nascita della scienza sperimentale” (2018) traccia una provocatoria
controstoria dell’origine e dell’evoluzione della filosofia — dall’antichità greca,
al pensiero occidentale nell’era cristiana, fino all’età moderna
e alla nascita della scienza sperimentale, momento in cui si sarebbe spalancato un incolmabile abisso
tra approccio scientifico e filosofico, elaborando la metafora della farfalla e della crisalide.
La crisalide della filosofia occidentale ha custodito l’interesse per il mondo naturale fino a quattro secoli fa, quando l’avvento del metodo sperimentale ha segnato l’irreversibile rivoluzione che avrebbe liberato la farfalla della scienza dalla sua storica incubatrice, rendendola pienamente autonoma. La farfalla, non più gravata da un’inutile zavorra, può ora librarsi nei cieli della razionalità, perseguendo il progresso scientifico e tecnologico.
«Di ciò di cui non si può parlare si deve tacere».«Il linguaggio traveste il pensiero»
“Tractatus logico-philosophicus” (1921)
«I problemi filosofici sorgono quando il linguaggio fa festa»
“Ricerche Filosofiche” (1953)
Nelle sue “Ricerche Filosofiche” Wittgenstein spiega che i problemi filosofici sono malattie del linguaggio, sorgono quando il linguaggio «va in vacanza», , cioè quando le parole vengono strappate dal loro contesto ordinario e utilizzate in modo astratto, generando confusioni concettuali.
In quanto malattie i problemi filosofici richiedono una «terapia» concettuale. Questa metafora clinica nasce dall’osservazione che molti dilemmi filosofici derivano da un uso distorto del linguaggio, come nel caso della domanda «Che cos’è il tempo?». Posta al di fuori di un gioco linguistico specifico (ad esempio, la fisica o la quotidianità), essa perde ogni ancoraggio pratico e diventa un «inceppamento» privo di senso.
Un esempio famoso è l’opera sul senso profondo del tempo del filosofo francese Henri Bergson, un tale insulso delirio di stronzate che l’unico commento da parte degli scienziati fu una breve frase di Albert Einstein: «speriamo che Dio lo perdoni».
La terapia è riportare le parole incomprese dai filosofi dalla loro vacanza metafisica all’uso ordinario nel linguaggio comune ed al lavoro quotidiano della comunicazione umana: «Non pensare, ma guarda!»,
Per Wittgenstein «il linguaggio traveste il pensiero», creando l’illusione di profondità concettuali dove invece regna il nonsenso. Un esempio lampante è la ricerca di entità metafisiche come l’essenza della giustizia: tale domanda nasce dall’errata convinzione che a ogni sostantivo corrisponda un oggetto concreto.
Nel problema di efficacia del linguaggio per esprimere concetti generali posto da Wittgenstein c’è il grande limite della sottocultura umanistica e la sua inferiorità rispetto alle scienze esatte che usano un linguaggio universale, potente e non ambiguo come quello della Matematica.